Zanele Muholi

1972

Wall of Pride - Zanele Muholi

1972

Umlazi (Sud Africa) 1972. Zanele è l’ultimə di otto figli. Futuro programmato: parrucchierə.

Un libro di Nan Goldin cambia il suo destino. La fotografia è l’urlo che libera il suo tormento interiore, con essa racconta un Sud Africa fuori dallo stereotipo in cui speranza e oppressione sono lievi sfumature di quel nero, fiero e feroce, con cui rende la pelle nelle sue stampe.

Il suo lavoro si muove tra documentario e ritratto; fotografa donne che si baciano, matrimoni gay, manifestazioni di protesta. I suoi soggetti sono soprattutto donne lesbiche e nere che ritrae con una potenza disarmante. E perché non rimangano dei simboli, dei manichini, a queste donne chiede sempre di parlare in occasione delle mostre affinché non siano idealizzate ma ascoltate.

Quello che mi importa di più è il contenuto, chi c’è nella fotografia, perché è lì.

Nonostante la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso nel 2006, la comunità nera LGBT+ è ancora oggetto di violenza in Sud Africa. In particolare, le lesbiche nere sono costantemente nel mirino di uomini eterosessuali cisgender, sistematicamente stuprate con l’obiettivo di essere curate. Molti di questi stupri diventano femminicidi. Nel 2011 Noxolo Nogwaza, attivista per i diritti LGBT+, fu violentata, picchiata, lapidata e pugnalata. Il suo corpo fu gettato in un canale. I suoi aggressori non sono mai stati individuati. Amnesty International e Human Rights Watch hanno definito l’accaduto un crimine di odio. Le autorità hanno risposto che è stato solo un altro omicidio.

My practice as a visual activist looks at black resistance—existence as well as insistence.

Attraverso l’arte, Zanele scuote questo sistema che calpesta e invisibilizza una comunità intera, che pure esiste, vive, ama, si diverte, resiste. Ecco, Zanele vuole sovvertire il paradigma e costruire una nuova visione africana, estetica e culturale. Ecco perché non vuole definirsi artista ma attivista visiva.

You are worthy. You count. Nobody has the right to undermine you—because of your being, because of your race, because of your gender expression, because of your sexuality, because of all that you are.

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Wendy Carlos