Laverne Cox

1972

Wall of Pride - Laverne Cox

1972

One day I sat down and I typed up notes, and the notes said, ‘My name is Laverne Cox and I should not be referred to by any other name. My preferred pronouns are ‘she’ and ‘her’, and I shouldn’t be referred to as any other pronouns.’ … I was planning to kill myself. I wanted to make sure that I would not be mis-gendered in my death. I wanted to be sure that I would not be dead-named in my death.

La visibilità delle minoranze ha attraversato nei media narrazioni stereotipate e marginalizzanti. Anche in serie d’avanguardia come Sex and the city, Law and Order o Grey’s anatomy (nelle prime stagioni) i personaggi lgbt+ erano perlopiù soggettivizzati come qualcosa di altro rispetto alla storyline primaria. E se per omosessuali e lesbiche si è aperta prima la strada per una rappresentazione meno scontata, che ne riconoscesse l’autenticità e la complessità, per le persone trans, in particolare le donne trans, latine o afro discendenti, sembrava non potessero esserci altri ruoli se non quello della prostituta o della vittima, in genere entrambe le cose. Se poi c’erano ruoli da protagonista o di particolare spessore, la parte andava a un uomo o a una donna cisgender (The Danish girl o Transparent).

Questo paradigma si interrompe con l’interpretazione della prigioniera trans Sophia Burset nella serie Netflix “Orange Is The New Black”, a cui Laverne Cox, attrice e attivista transgender, dà uno spessore drammaticamente profondo e reale, che supera ogni stereotipo.
È un momento rivoluzionario non solo perché finalmente si elabora un nuovo modello nell’immaginario delle donne trans e nere, ma anche per il successo che il personaggio ottiene. Nel 2014 Cox è la prima attrice transgender ad essere nominata ad un Emmy Award, premio che vince l’anno successivo per il documentario Laverne Cox Presents: The T Word. È la prima persona trans a comparire sulle copertine di TIME, Cosmopolitan e Vogue UK e anche la prima donna trans a ricevere una statua di cera al Madame Tussaud’s.

I started #transisbeautiful to remind myself that I am not beautiful despite my big hands, my big feet, my wide shoulders, my height, my deep voice… I am beautiful *because* of those things. I am beautiful because of those things that make me uniquely and noticeably trans — and so are you.

Cox ha sempre usato la sua celebrità per parlare contro la discriminazione transessuale, razzista e sessista; ha dato voce a cause e storie approfittando letteralmente di ogni intervista. Ha ricevuto un dottorato onorario per il suo lavoro progressista nella lotta per l’uguaglianza di genere alla New School di New York.

I think it’s really important that in all of our movements for social justice we cannot leave anyone behind. Just because you are LGBTQIA+, I am still Black. I still experience structural racism. Trans folks still experience that on top of transphobia, on top of sexism, on top of classism.

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